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L’Eucarestia: fonte e culmine della vita cristiana.

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Messaggio Da spe salvi Mar 27 Mag 2008, 18:19

Vicariato di Bogliasco – Pieve L. – Sori

Incontri vicariali per laici




L’istituzione dell’Eucarestia nei vangeli sinottici

primo incontro
Lc 22,14-20

14 Quando fu l’ora, prese posto a tavola e gli apostoli con lui, 15 e disse: “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima della mia passione, 16 poiché vi dico: non la mangerò più, finché essa non si compia nel regno di Dio”. 17 E preso un calice, rese grazie e disse: “Prendetelo e distribuitelo tra voi, 18 poiché vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non venga il regno di Dio”.
19 Poi, preso un pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. 20 Allo stesso modo dopo aver cenato, prese il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che viene versato per voi”.

v 14 è l’ora in cui si mangia la pasqua, al tramonto del sole. Ma questa pasqua è il compimento di tutto il disegno di Dio: lui stesso si consegna all’uomo. In tutte le religioni c’è il sacrificio dell’uomo per Dio. Nel cristianesimo invece sta al centro il sacrificio di Dio per l’uomo. E di questo facciamo memoria e ringraziamo nell’Eucarestia.
Il banchetto dell’esodo si sarebbe dovuto consumare in piedi e in fretta (Es12,11).
v. 15 il desiderio di Gesù è un traboccare del suo amore per ognuno di noi. Nel corpo di Gesù donato per noi si consuma l’amore di Dio per l’uomo.
“con Voi” sono i dodici, dei quali uno tradisce, uno rinnega e dieci fuggono. Proprio con noi – non con altri che siano più bravi – desidero mangiare questa pasqua, perché ci ama.
Il suo amore dovrà portare il male di coloro che ama. Gesù istituisce l’Eucarestia prima della morte, perché sia medicina e viatico per il lungo cammino che ancora ci resta.
v. 16 è l’ultima sua cena pasquale ebraica. Il segno cessa e cede il posto alla realtà: la cena del Signore. All’agnello, offerto dall’uomo, succede l’agnello di Dio, il Figlio stesso che dà la sua vita per la salvezza del mondo. La pasqua si compie nel regno di Dio. Essa è solo anticipata nell’Eucarestia, pegno sicuro della gloria futura, quando Dio sarà tutto in tutti. Dio entra nella storia, che inizia un nuovo cammino verso di lui. Gesù risorto desidererà sempre spezzare il pane con i suoi discepoli. Lo farà ogni volta che i suoi lo inviteranno a restare con lui, come i discepoli di Emmaus (Lc 24,29).
v. 17 è il calice della benedizione, il terzo nella cena pasquale, che passa tra i commensali dopo la consumazione dell’agnello
v. 18 mentre i discepoli devono l’ultimo calice della pasqua antica. Gesù prepara il nuovo calice col digiuno della sua morte
v. 19 è l’inizio della cena del Signore. Il suo prendere non è rapina, ma rendimento di grazie (=eucarestia) al Padre, fonte della sua vita. Il pane e il vino non sono solo frumento e uva. Pane e vino sono si frutto della terra ma contengono anche il lavoro dell’uomo.
Spezzò indica la sua morte in croce, il suo corpo spezzato, la violenza di una simile morte. È il destino inevitabile di chi vive il dono in una situazione di rapina
e diede loro la vita che riceve dal Padre e di cui gioisce, la dona ai fratelli perché ne vivano
questo è il mio corpo è l’agnello pasquale che Dio ha provveduto, è il corpo del Figlio. Si fa nostro pane, perché viviamo di lui. Ti fa diventare come lui, secondo il desiderio che lui stesso ha messo in te
dato tutta la vita di Gesù è rivelazione di Dio. Il suo corpo dato per noi ne è il vertice: Dio si manifesta come puro dono di sé, amore assoluto.
per voi richiama il servo di JHWH (Is 53), la cui morte ci dà la vita
fate questo in mia memoria è l’istituzione dell’Eucarestia. La nuova pasqua è ormai memoriale dell’Agnello dato per noi e comunione con lui, nell’attesa del suo ritorno. Fare memoria di lui significa vivere oggi del suo dono, fare del suo amore crocifisso la nostra vita. Questo pane è il dono del Figlio che ci introduce nella vita del Padre.
v. 20 la gioia del vino, frutto della terra promessa, è sostituito dal sangue del Figlio. La nuova alleanza subentra all’antica. Corpo e sangue sono nominati separatamente, per indicare la morte cruenta sulla croce: il nuovo patto è suggellato dall’amore crocifisso di Dio per noi. L’antica alleanza è stata da sempre rotta dalla nostra infedeltà. La nuova alleanza è eterna e non può più essere rotta. Qualunque cosa gli facciamo il suo amore resta fedele in eterno. Dio è Dio e non uomo. Il suo corpo dato per noi e il suo sangue versato per noi peccatori ci garantisce che, se anche noi manchiamo di fede, lui rimane fedele sempre, perché non può rinnegare se stesso. Finalmente conosciamo chi è Dio per noi: amore assoluto e senza condizioni. E conosciamo anche chi siamo noi per Dio: figli amati e perdonati senza condizioni. Questo amore ci dà la libertà di corrispondervi, ci abilita ad amare come lui ci ha amati.

Matteo 26, 26-29

26 Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: “Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. 27 Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: “Bevetene tutti, 28 perché questo è il mio sangue dell’alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati. 29 Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio”.

La preghiera di benedizione sul pane prima che venga spezzato e distribuito ai commensali rientra nelle usanze dei pasti ebraici. La novità dell’azione di Gesù, che in mezzo ai discepoli compie il rito usuale del padre di famiglia, sta nelle sue parole che commentano e spiegano il pane spezzato e distribuito. L’invito a mangiare il pane esprime la decisione di Gesù di associare il gruppo dei discepoli alla sua mensa. Ma al di fuori di ogni usanza conosciuta Gesù annuncia con semplicità e chiarezza che il pane spezzato e condiviso è “il suo corpo”. Perciò l’invito a “mangiare” con lui, si traduce in quello di condividere il destino della sua persona.
Prendete: è un imperativo. Prendere questo dono è partecipare al suo corpo e diventare ciò che si è: figli del Padre e fratelli suoi.
Mangiate: non è il frutto proibito: è l’albero della vita, che ci rende davvero come Dio. Uno vive di ciò che mangia: mangiando di lui, viviamo di lui. Il mangiare la vittima offerta è una pratica che si riscontra presso quasi tutte le religioni antiche: in tal modo il credente si appropria dei benefici di salvezza connessi con il sacrificio offerto alla divinità.
Bevetene tutti: il sangue è la vita. Per gli ebrei non si può bere il sangue; l’uomo non è padrone della vita: appartiene a Dio.
Molti: molti significa moltitudine e sta per “tutti”. La morte di Gesù riscatta tutti. L’uso di “molti” per significare tutti (in contrasto con uno, esprimendo così l’ampiezza dell’efficacia di questo sacrificio) è tipicamente semitico.
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L’Eucarestia: fonte e culmine della vita cristiana. Empty Eucarestia “mistero” della fede

Messaggio Da spe salvi Mar 27 Mag 2008, 18:20


Dopo la consacrazione il sacerdote dice “Mistero” della fede. Con queste parole ci pone nella dimensione gusta di fronte all’eucarestia. “Mistero” in una interpretazione cristiana, significa una realtà amplissima e grande che non riusciamo a contenere, a definire con precisione e cogliere in tutta la sua portata; va al di là di noi, ci trascende, tuttavia non è una realtà chiusa, impenetrabile.
Di fronte al “mistero” siamo come secchi per l’acqua di fronte a un mare profondo: possiamo prenderne una secchiata, cioè possiamo approfondire, aprirci, cogliere. Il mistero della fede, la Pasqua di Gesù Cristo – cioè, il passaggio da questo mondo al Padre – è il mistero della sua morte che culmina nella resurrezione.
Questo è il cammino che tenteremo di fare.
In senso biblico la parola “mistero” indica il progetto di Dio su tutta la creazione e su tutta l’umanità: anche su ciascuno di noi..
La rivelazione del mistero inizia con l’annuncio dei profeti; essi parlano di un Dio che salva. L’annuncio dei profeti si compie per mezzo di parole, ma viene anche significato da avvenimenti storici concreti: il popolo di Dio viene eletto, salvato dall’Egitto, attraversa il mar Rosso, riceve la manna nel deserto, raggiunge la terra promessa. Questi fatti, in quanto segni e simboli del mistero che Dio ci rivela, riguardano anche noi.
Gesù Cristo porta a compimento la rivelazione del mistero. “Io la via, la verità, la vita” (Gv 14,6). Gesù Cristo svela il progetto in cui siamo immersi, ci permette di penetrarlo e lo affida alla chiesa, allo Spirito Santo. All’interno della chiesa, l’incontro con il mistero viene proposto in un atto liturgico vivo: l’Eucarestia.

La messa non è solo una devozione o la più grande delle preghiere, ma un mistero della fede, si innesta nel grande progetto di Dio.
La messa è la redenzione, la presenza di Cristo, la vita, la resurrezione, la cena a cui siamo invitati, contenuta in un atto liturgico che poi si deve estendere nel tempo ad ogni realtà. Il compimento finale deve ancora venire: sarà il banchetto nuziale alla fine dei tempi, l’apocalisse, ossia la rivelazione, quando Cristo ritornerà.
Il nostro scopo sta nel riuscire a farci coinvolgere dalla messa fino a sentirci attori all’interno dell’Eucarestia, accogliendola come presenza reale dell’amore di Cristo. Essere coinvolti nel mistero significa essere spinti a vivere qualcosa di diverso e a diventare diversi.

Il termine messa dal latino andare. È più significativo Eucarestia dal greco “rendere grazie”.
La messa è la grande preghiera di ringraziamento che noi non siamo capaci di fare: Gesù la fa in nome nostro al Padre; ma noi la facciamo con Gesù. Incominciamo ad aprirci a questa dimensione: sentirci gratificati; noi siamo persone che ricevono dei doni e dicono grazie.
Non si può andare all’Eucarestia senza gioia, senza il cuore in festa e in questo atteggiamento: voglio rendere grazie con Gesù.
Noi siamo invitati alla cena del Signore; lo dicono la tavola, il calice, i piatto, il pane, il vino. Ogni Eucarestia è un invito cena con Dio; ci avviciniamo a Dio per stare in intimità con Lui, con un senso di famiglia, che è poi la chiesa. Nella messa, Gesù ripete la sua donazione di amore significata fisicamente sul Calvario.
Un altro termine che ci può aiutare è: domenica giorno del Signore. La storia cristiana ha subito colto il valore dell’Eucarestia come riassunto della vita di Gesù. Cristo è risorto di domenica. In questo giorno, la Chiesa fino ad oggi, ha sempre celebrato l’Eucarestia. Questo cosa ci dice? Ci dice risurrezione, Cristo vivente, incontro con il vivente.
Se incominciamo a mettere in relazione questi vari segni, incominciamo a capire che la messa non finisce in venti minuti; la messa è un tempo che contiene in sé tutta una storia di salvezza, non come memoria storica, ma come attuazione reale: siamo invitati alla cena, per entrare nel mistero.

Parlando dell’Eucarestia è significativo sottolineare che durante i primi tre secoli i cristiani abbiamo avuto una sola festa, la Pasqua: settimanale ogni domenica, annuale all’inizio della primavera. La liturgia cristiana è essenzialmente celebrazione del mistero pasquale.
Ma che cosa significa celebrare? Perché si compiono gesti simbolici e rituali? Come si colloca la liturgia cristiana nella storia della salvezza?
L’uomo, essere spirituale e corporeo, percepisce ed esprime le realtà spirituali mediante materiali o simboli. La sua vita quotidiana è intessuta di azioni simboliche: sorrisi, lacrime, strette di mano, baci, abbracci. Le parole da sole sarebbero del tutto inadeguate, specialmente nei momenti intensi di amore, di gioia e di dolore. I gesti rafforzano le parole. Il linguaggio simbolico è un modo di essere e di comunicare.
Nell’Antico Testamento i simboli, i riti e le feste, pur mantenendo un riferimento alle vicende della natura e ai momenti della vita sociale, diventano segni dell’alleanza, memoria e attualizzazione delle opere mirabili compiute da Dio nella storia a favore del suo popolo. In particolare la Pasqua ebraica, immolazione di un agnello da consumare in una cena rituale, ricorda l’esodo dall’Egitto e vi fa in qualche modo partecipare i presenti al rito, perché Dio viene ancora a fare ai figli quello che un tempo aveva fatto per i padri. “Questo giorno sarà per voi un memoriale; lo celebrerete come festa del Signore: di generazione in generazione, lo celebrerete come un rito perenne”. (Es 12,14). Il memoriale comunica la grazia dell’evento ricordato
Gesù Cristo porta a compimento gli eventi e i riti dell’antica alleanza. Nella sua stessa persona Dio si rivela, si comunica e ci salva. Nel modo più sublime, la sua vita donata, realizza il fine di tutti i riti, che è quello di introdurre nella comunione con Dio. Gli antichi sacrifici, basati sull’offerta della vittima in sostituzione della vita dell’offerente, sono superati dal dono totale di lui stesso. Questo atto è così perfetto che basta da solo a salvare tutti gli uomini. “Siamo stati santificati, per mezzo dell’offerta del corpo di Gesù Cristo, fatta una volta per sempre” (Eb 10,10). Però l’offerta di Cristo sulla croce non esclude l’offerta dei credenti, anzi la esige e la rende possibile. Sostenuti da Cristo, potranno anch’essi offrire la propria vita al Padre seguendo quotidianamente la sua volontà.
Il Nuovo Testamento ci racconta come Gesù stesso istituisce il rito eucaristico, come memoriale dell’unico e perfetto sacrificio sulla croce: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19; 1Cor 11,24). L’atto di donazione, con cui Gesù è morto, rimane nel Signore risorto come perenne intercessione presso il Padre. L’evento pasquale è l’unico avvenimento che non passa. È il centro dell’economia salvifica. Partecipare all’Eucarestia significa, per ognuno di noi, come se fosse stato, quel pomeriggio, sotto la croce, insieme con Maria e con Giovanni. Il sacramento dell’Eucarestia non rende presente l’evento della croce soltanto a noi; sarebbe poco: lo rende presente soprattutto al Padre. A ogni “frazione del pane”, quando il sacerdote spezza l’ostia, è come se il Signore salisse ancora sulla croce per noi.
Anche il significato dei singoli sacramenti emerge solo nell’ambito della storia della salvezza. I gesti non sono particolarmente originali. Il cristianesimo non li ha inventati, ma li ha ereditati dall’ebraismo. Anzi, derivano in definitiva dalla vita ordinaria. In conformità allo stile del regno di Dio, sono caratterizzati da semplicità e umiltà. Vediamo povere cose: un po’ d’acqua, un pezzo di pane, un sorso di vino, una goccia d’olio. Osserviamo gesti comuni: lavare, mangiare e bere, ungere. Ma questi gesti, completati dalle parole e inseriti nella storia della salvezza, acquistano un grandioso significato. Nel battesimo il gesto di immergere nell’acqua – o almeno aspergere con essa – collegato con il diluvio, il passaggio del Mar Rosso e soprattutto con la morte e risurrezione del Signore, diventa inserimento in Cristo e nella Chiesa, liberazione dal peccato e rinascita a vita nuova. I gesti danno concretezza alle parole; le parole precisano il senso dei gesti.
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Messaggio Da spe salvi Mar 27 Mag 2008, 18:21

La Chiesa non dispone dei sacramenti a suo piacimento; li riceve e li custodisce fedelmente. Il loro autore è il Signore Gesù che li ha istituiti una volta per sempre e ogni volta agisce in essi per comunicare lo Spirito e la vita nuova. È Cristo che celebra: è lui che battezza, riconcilia, consacra e benedice. Il ministro agisce sempre in suo nome, come segno della sua presenza. Quale che sia la sua fede e santità personale, l’efficacia del sacramento non dipende da lui. I sacramenti sono efficaci in quanto azioni di Cristo. Il Signore, malgrado l’indegnità dei ministri, rimane fedele alla sua Chiesa e si lascia incontrare comunque.
Tuttavia i sacramenti rimangono senza frutti, se chi li riceve non ha le dovute disposizioni, pone ostacolo alla grazia e non coopera con essa. Non hanno infatti la funzioni di sostituire l’impegno personale, ma piuttosto di risvegliarlo, come un abbraccio non sostituisce l’amore, ma lo intensifica. Il cristianesimo è incontro con Gesù Cristo, adesione alla sua persona, partecipazione alla sua vita.
La liturgia è memoriale (anamnesi), in quanto attualizza nell’azione simbolica il mistero pasquale; è invocazione (epìclesi), in quanto comunica il dono pasquale dello Spirito con molteplici doni particolari; è lode e glorificazione (dossologia) di Dio, in quanto riconosce in lui il primo riferimento dell’esistenza umana.
I singoli sacramenti rendono presente l’unico mistero pasquale in forme simboliche diverse. Di conseguenza esprimono significati diversi e comunicano la vita nuova secondo aspetti diversi. Il battesimo dà la grazia come rigenerazione e passaggio dalla morte alla vita; la confermazione come crescita e forza di testimonianza; l’eucarestia come comunione e dono di sé; la penitenza come riconciliazione; l’unzione degli infermi come purificazione e conforto; il matrimonio come alleanza coniugale; l’ordine come servizio pastorale in nome di Cristo.

Nella storia della liturgia per prima è stata accentuata la domenica che segue il plenilunio dopo l’equinozio di primavera ed è diventata la Pasqua annuale, la festa delle feste. Presto la Pasqua si è allargata al Triduo pasquale. Successivamente si è prolungata nei cinquanta giorni del tempo pasquale fino alla Pentecoste ed ha avuto una preparazione nel tempo di Quaresima. Infine, a somiglianza del ciclo di Pasqua, si è formato quello di Natale, con l’Avvento come preparazione. In questo percorso annuale sono state inserite le feste della Vergine Maria e dei santi, per proclamare le opere meravigliose di Cristo nei suoi discepoli, il mistero pasquale realizzato in loro.

L’Eucarestia non compromette l’unicità della croce, perché non è una ripetizione né un’aggiunta, ma la riproposizione, qui e ora, sotto i segni sacramentali, di quello stesso atto di donazione con cui Gesù è morto ed è stato glorificato: “Anche noi oggi offriamo quel sacrificio, quello offerto una volta, quello inesauribile….noi non compiamo un altro sacrificio…bensì sempre lo stesso; meglio, noi facciamo il memoriale di quel sacrificio” (GIOVANNI CRISOSTOMO, Omelie sulla Lettera agli Efesini, 17.3). Perciò “noi crediamo che la Messa…è il sacrificio del calvario reso sacramentalmente presente sui nostri altari” (Paolo VI).
La comunione eucaristica ha un carattere tutt’altro che intimistico e sentimentale. Far comunione con il Signore crocifisso e risorto significa donarsi con lui al Padre e ai fratelli. Il signore Gesù viene a vivere in noi e ci assimila a sé. La vita che egli comunica è la sua carità verso il Padre e verso tutti gli uomini. Unendoci a sé, Gesù Cristo, ci unisce anche tra noi. L’Eucarestia presuppone, rafforza e manifesta l’unità della Chiesa. Esige l’unità della fede e impegna a superare le divisioni contrarie alla carità.
In sintonia con la carità universale di Cristo, la Preghiera eucaristica si fa intercessione per il mondo e per la chiesa universale e particolare, per i presenti e per gli assenti, per i vivi e per i defunti: “Per questo sacrificio di riconciliazione dona, Padre, pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro Papa Benedetto, il nostro Vescovo Angelo, il collegio episcopale, tutto il clero e il popolo che tu hai redento. Ascolta la preghiera di questa famiglia, che hai convocato alla tua presenza.
Ricongiungi a te, Padre misericordioso, tutti i tuoi figli ovunque dispersi.
Accogli nel tuo regno i nostri fratelli defunti e tutti i giusti che, in pace con te, hanno lasciato questo mondo; concedi anche a noi di ritrovarci insieme a godere per sempre della tua gloria, in Cristo, nostro Signore, per mezzo del quale tu, o Dio, doni al mondo ogni bene” (Messale Romano, Preghiera eucaristica III). Farsi uno con Cristo vuol dire aprire il cuore alle dimensioni dell’umanità intera.
La Chiesa raccomanda vivamente di riceve la comunione eucaristica ogni volta che si partecipa alla santa Messa. Si comprende come senza le dovute disposizioni la comunione sacramentale sarebbe in autentica. Già san Paolo esortava i cristiani: “Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice; perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna” (1Cor 11,28-29). Chi è consapevole di aver commesso peccato mortale, prima di accostarsi alla comunione eucaristica, deve pentirsi e tornare in grazia di Dio. Più precisamente deve recarsi dal sacerdote e ricevere l’assoluzione; non può limitarsi a fare il proposito di confessarsi al più presto, a meno che in una particolare situazione non sopravvengano motivi gravi.
Far comunione con lui che è passato da questo mondo al Padre significa ricevere un anticipo della vita eterna. Cristo conforma a sé la nostra personalità, preparando la completa trasformazione della gloriosa risurrezione. Infondendo nel cuore la carità di Cristo e la speranza del regno di Dio, l’Eucarestia diventa la sorgente della missione del cristiano e della comunità ecclesiale. Lo sciogliersi dell’assemblea è anche un invio: “Glorificate il Signore con la vostra vita, andate in pace”. La Messa si prolunga nelle strade, nella case, nei luoghi di lavoro e nel tempo libero. Trasformato dalla partecipazione al mistero di amore di Cristo, il cristiano assume la carità come principio che dà forma a tutta la sua vita. La raccolta di denari e di altri doni, che si fa durante la presentazione delle offerte, è un gesto emblematico, che vuole stimolare il nostro impegno costante a favore della comunità e dei poveri.
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Messaggio Da spe salvi Mar 27 Mag 2008, 18:22

L’Eucarestia viene istituita da Gesù nell’imminenza della sua morte. Partiamo quindi dalla persona di Gesù di fronte alla sua morte: Gesù ha affrontato la morte in modo consapevole, libero e generoso. Non è stato sorpreso dagli eventi, non è stato un incidente di percorso, non è morto per caso, ma è andato volontariamente e consapevolmente incontro alla morte. Gesù, quindi, prima di affrontare il dramma della sofferenza e della morte, ha liberamente posto dei gesti con cui significava il dono generoso e totale di sé.
Parlare dell’Eucarestia significa parlare del sacrificio di Gesù. Dobbiamo dunque partire da quella cena in cui Gesù istituì l’Eucarestia. Era una cena pasquale secondo la tradizione giudaica, eppure fu una cena piena di novità. Da una parte Gesù rispettò la tradizione, dall’altra la riformò introducendo molti elementi nuovi.
Perché s. Giovanni non la racconta nel suo vangelo? L’evento della morte e risurrezione viene visto, e raccontato, con sottolineature differenti: da un lato i tre sinottici, dall’altro Giovanni. I sinottici guardano di preferenza al momento della cena, è nella cena e precisamente nell’istituzione dell’Eucarestia, che si compie, per essi, il passaggio dall’antica alla nuova Pasqua. Un grande rilievo assume in essi la preparazione dell’ultima cena. Potremmo dire che la cena dei Sinottici anticipa e contiene già l’evento pasquale dell’immolazione di Cristo, come l’azione simbolica anticipa talvolta, l’evento annunciato. Nell’istituire l’Eucarestia, Gesù annuncia profeticamente e anticipa sacramentalmente ciò che avverrà di li a poco – la sua morte e resurrezione – innestando l’avvenire nella storia. Si tratta dunque di uno stesso fondamentale evento che i Sinottici presentano anticipato nell’azione simbolica e sacramentale dell’Eucarestia e che Giovanni presenta nel pieno e definitivo manifestarsi sulla croce. Giovanni accentua il momento dell’immolazione reale (la croce), mentre i Sinottici accentuano il momento dell’immolazione mistica (la cena).
La Pasqua ebraica si svolgeva in due tempi e in due luoghi diversi: l’immolazione nel tempio e la cena nelle case.
Nella tradizione ebraica c’era e c’è tutt’oggi un ricordo molto vivo della liberazione dalla schiavitù d’Egitto. In quella notte la famiglia si riunisce e la cena vera e propria è preceduta e seguita da un momento di preghiera rituale.
Gesù si inserisce in questo schema in cui l’israelita sacrifica un agnello. Non è una questione di pietanza, era invece un rito sacrificale e il sacrificio poteva essere compiuto solo nel tempio di Gerusalemme e per fare la cena pasquale bisognava, quindi, essere a Gerusalemme. Il sacrificio degli agnelli avveniva infatti la vigilia di Pasqua, che loro celebravano di sabato, quella che in greco è detta parasceve e che quindi cadeva di venerdì. Il 14 di nisan, nel pomeriggio, da mezzogiorno alle tre, nel tempio venivano uccisi, ritualmente, gli agnelli che poi i capi famiglia portavano a casa, per cucinarli e mangiarli quella sera durante la cena pasquale.
Agli agnelli sacrificati nel tempio non doveva essere spezzato alcun osso (Es 12,46), così come poi accadrà a Gesù sulla croce: “non gli fu spezzato alcun osso” (Gv 19,36). Giovanni fa sue in questo momento le parole del Battista e, additando Gesù sulla croce proclama solennemente al mondo: “Ecco l’Agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo”.
I quell’anno, la sera in cui gli ebrei celebravano la cena pasquale è quello che noi chiamiamo venerdì santo.
Quando gli ebrei a Gerusalemme mangiarono la cena pasquale, Gesù e gli apostoli non la mangiarono, era materialmente impossibile, quindi la anticiparono.
Gesù celebrò una messa pasquale staccandosi dal rito del tempio di Gerusalemme e non avendo al centro dell’attenzione l’agnello sacrificato secondo la tradizione, perché intendeva presentare se stesso come l’Agnello.
Difatti il 14 di nisan, proprio da mezzogiorno alle tre, Gesù sarà appeso ala croce, macellato come gli agnelli nel tempio. Gli apostoli rimasero senza dubbio perplessi: come organizzare una cena pasquale senza l’agnello sacrificato nel tempio? È come se noi celebrassimo la messa di natale il 23 dicembre..più di uno sarebbe perplesso…Gesù ha la consapevolezza di quello che sta per accadere gli apostoli no. Che fosse l’ultima cena gli apostoli non lo sapevano, Gesù si.
Gesù iniziò la celebrazione con un calice di vino. Ci sono infatti due coppe di vino che vengono bevute lungo la celebrazione rituale della pasqua ebraica. Quella sera, però, Gesù ruppe la tradizione in diverse occasioni. Mentre era previsto che il capofamiglia lavasse le mani dei partecipanti, Gesù lavò invece i piedi. Fece un gesto imprevisto tanto che Pietro non era d’accordo. Per lui non era giustificata l’umiliazione del maestro.
Poi spezzò il pane, gesto consueto, normale di condivisione lo distribuì e a questo punto aggiunse delle parole strane fuori copione. Mentre distribuisce il pane aggiunge: “Questo è il mio corpo dato per voi”. Immaginiamo gli apostoli come devono aver accolto quelle sue strane parole…non capiscono, infatti, cosa voglia dire che questo pane è il suo corpo “dato per noi”. Finita la prima parte della preghiera segue la cena normale. Dopo la cena si riprende la preghiera e a quel punto il capo famiglia prende in mano un'altra coppa di vino e recita un’altra benedizione. Questa volta Gesù passo la coppa ai discepoli perché ne bevessero e anche qui, a sorpresa, aggiunge delle parole strane e impreviste. Disse infatti che quel vino è il suo sangue, che coincide con la nuova alleanza e proprio quel suo sangue è versato per la remissione dei peccati.
Gli apostoli presero il calice, bevvero, ma ancora non capirono. Però, proprio perché quelle parole e quei gesti erano strani, sorprendenti, rimasero nella loro memoria; colpirono e impressionarono gli apostoli i quali si ricordano perfettamente di quanto accaduto.
Ci ripensarono nel giro di poco tempo quando, avendo vissuto i drammatici fatti della sua morte, capirono: quella sera era stata l’ultima volta che Gesù aveva mangiato con loro. Ecco perché aveva detto che quel pane era il suo corpo “dato”; lui aveva consapevolezza che stava per morire. Questo è un elemento importante: non è semplicemente l’identificazione con il corpo, ma con il corpo “dato”, non semplicemente con il sangue, ma con il sangue “versato per”; tutte e due le immagini indicano una vita persa. Se quel pane è il corpo di Cristo, il gesto di spezzare è drammatico:
“Prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò”
Prese il suo corpo, rese grazie, fece della propria vita un rendimento di grazie e lo spezzò fino alla morte. Vuol dire che non è un caso quella morte, non è una fatalità accettata passivamente, ma è un dono libero e voluto. “Per i peccati”, a favore dei peccati, per la remissione dei peccati.
Fu l’ultima cena della vita terrena di Gesù, ma non l’ultima volta che Gesù mangiò con i suoi discepoli. Infatti, dopo la resurrezione, Gesù si presenta proprio nel cenacolo, nella stessa sala dove qualche giorno prima aveva mangiato e, per superare i dubbi che gli apostoli avevano, chiede qualche cosa da magiare. Negli Atti degli Apostoli, all’inizio, di dice per due volte che “mentre erano a mensa insieme” gli apostoli gli fecero delle domande.
Che cos’è il sacrificio? Nel nostro linguaggio è diventata una parola banale. In realtà il sacrificio è l’azione sacra, è l’offerta a Dio. Gesù compie il sacrificio come offerta della propria vita, rivelando qualche cosa di nuovo: è l’offerta della propria vita che purifica, espia i peccati. A quel gesto di mangiare un pane spezzato Gesù dà il senso di partecipare alla sua morte.
Chiarificazione: quando si dice che Gesù è morto “per” i nostri peccati, non si intende “a causa dei nostri peccati”, ma “a favore”. È morto a favore dei nostri peccati, non nel senso che li favorisce, che li fa crescere, ma nel senso che li toglie. I peccati non sono la causa ma il fine; è morto per togliere i peccati cioè per cambiare la situazione dell’uomo, per redimerlo. È il sacrificio che toglie – nel senso che porta su di sé, trasferisce su di sé – i peccati.
La cena pasquale, per definizione è annuale, si fa a pasqua e basta; quindi gli apostoli avrebbero potuto riprendere questa celebrazione un anno dopo, nell’anniversario, ricordando che l’anno precedente Gesù aveva mangiato con loro e aveva detto quelle parole profetiche. Gli apostoli scoprirono la bellezza grandiosa del mangiare con Cristo risorto e capirono il senso che aveva quel gesto del pane e del vino: implicava partecipare al mistero di Cristo, morto e risorto. Da qui nacque, appunto, il rito dell’Eucarestia, ripetuto abitualmente nelle varie comunità cristiane.
Ha senso ricordare la sua morte proprio perché è diventata vita, sorgente di vita per tutti.
Pensate al primo “segno” che Gesù fece, secondo l’evangelista Giovanni a Cana di Galilea. In quell’occasione Gesù diede inizio, alla sua attività, con un segno legato al vino. Quello è il segno della nuova alleanza. Gesù, lo sposo, offre il vino ottimo alla fine. Il capo tavola non capisce, ma i servi, che hanno fatto quello che Gesù ha detto loro, hanno capito. L’acqua contenuta nelle idrie serviva per la purificazione dei giudei; le idrie erano sei, segno di imperfezione; erano di pietra come le tavole della legge, come il cuore dell’uomo. Serviva per lavare la mani. Gesù cambia l’antica alleanza nella nuova, trasforma l’acqua in ottimo vino. Quel vino è l’anticipo del suo sangue. A Cana l’ora non è ancora venuta, l’ora viene sulla croce. Cominciò così: Gesù aveva ben chiaro doveva voleva andare.
Quella volta che Gesù nel deserto moltiplicò il pane non lo fece perché era buono, lo fece per preparare la gente a un altro tipo di pane e a un altro tipo di dono. Non vuole prendere la gente per la gola, comperarla con queste offerte di cibo tale da avere dei clienti; lo fa per far capire che egli può veramente sfamare l’umanità e può farlo in modo diverso, in un modo più profondo e radicale. Gesù sta preparando quella Eucarestia, ma questa preparazione c’è stata anche nell’Antico Testamento.
Nell’Antico Testamento vi sono state delle figure in qualche modo preparatorie. Dio ha dato un pane che viene dal cielo cioè un pane non preparato dall’uomo, un pane non conquistato. Questo serve per capire che la salvezza non viene come prodotto dall’abilità umana. L’uomo non conquista la salvezza con le proprie opere, la salvezza la ottiene in regalo. Nella manna data ai padri riconosciamo allora lo stile di Dio, un anticipazione di quel dono che sarà l’Eucarestia.
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Messaggio Da spe salvi Mar 27 Mag 2008, 18:24

meditazioni trasmesse da don Germano Andriani
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